Non ho allattato e allora?

by EducataMente

Attaccare mia figlia al seno sarebbe stato forzare la mia natura. Ne ero sicura, e non per questo mi sentivo egoista. Non ero però preparata alle critiche feroci degli altri

DI V.G.

Quando ho messo piede al mio primo corso pre-parto ero al quarto mese di gravidanza. Un po’ in anticipo, in effetti: avevo accompagnato un’amica, già arrivata al settimo. Sono rimasta in disparte, ho assistito alla lezione e poi mi sono avvicinata all’ostetrica per farle una confidenza. Le ho comunicato che non avrei allattato mia figlia. Non so bene perché l’ho detto proprio a lei, forse perché sapevo che la mia scelta avrebbe potuto espormi a critiche. Volevo tranquillizzarmi, sentire il parere di una professionista, essere rassicurata. Non ne avevo ancora parlato né con la mia ginecologa né con il mio compagno, e in quel contesto estraneo mi sentivo più a mio agio. Ma mi sbagliavo. L’ostetrica ha subito provato a farmi cambiare idea: «Davvero non vuole allattare, Viola? Guardi che sarà bellissimo, un momento intimo, unico. Perché vuole privarsene?». Io ho snocciolato le mie motivazioni senza censure o riserve, ero ancora convinta di averne diritto. Poco dopo ho scoperto che avrei fatto meglio a tacere: «Non voglio essere costretta ad allattare ogni mezz’ora, come spesso succede con i neonati. Non voglio tirare fuori il seno in pubblico, mi imbarazza. E soprattutto non me lo voglio rovinare, il seno, ci tengo molto». Non l’avessi mai detto. L’ostetrica mi ha subito accusato di superficialità ed egoismo: pensavo alle mie tette e non al bene di mia figlia. Le sue parole mi hanno talmente ferita che non ho ribattuto. E non l’ho più detto a nessuno, nemmeno al mio ragazzo. All’epoca avevo 30 anni e un contratto a tempo indeterminato in azienda, perciò dall’ottavo mese sono rimasta a casa in maternità. Non avevo nessuna esigenza particolare: non ero come la mia amica Anita, medico, che ha evitato di allattare perché doveva studiare per l’esame di specialità. No, io non avevo niente da fare se non stare dietro a mia figlia Angelica. Eppure non volevo attaccarla al seno: non mi andava l’idea di essere un “distributore” viaggiante. Ho visto mia cugina e mia sorella organizzare poppate d’emergenza ogni venti minuti, in qualsiasi luogo. Al supermercato, dal medico, nei negozi. Una situazione esasperante, che dopo un po’ le ha portate a chiudersi in casa. Io non volevo correre il rischio di sentirmi prigioniera della mia bambina.

Magari mia figlia non avrebbe avuto quei ritmi, avrebbe mangiato ogni tre-quattro ore e nel resto del tempo avrebbe dormito. Non lo potevo sapere. Ma di una cosa ero certa: non volevo scoprirlo. Non volevo avere il latte, punto e basta. Anche perché, diciamocelo, ho sempre avuto un bellissimo seno. Taglia terza, sodo, con dei bei capezzoli piccini. Non avevo nessuna intenzione di rovinarlo, quindi la soluzione non poteva nemmeno essere il tiralatte. Il mio unico desiderio era la pastiglia che fa sparire la montata una volta per tutte. Egoismo? Forse. Ma non mi sentivo una degenerata per il mio desiderio di tutelare le mie forme. Né mi sembrava sbagliato provare a controllare le giornate di mia figlia con il latte artificiale: ho passato la gravidanza a leggere informazioni sul prodotto e ho scoperto che ha il grande vantaggio di saziare di più i bambini rispetto a quello materno, facendoli poppare di meno e dormire più a lungo. Certo, tutti sottolineavano che il latte materno è più nutriente e completo, ma io mi sono detta: se quello in polvere ha consentito a tante mamme di far crescere sani i loro bambini, perché devo farmi problemi proprio io? In quei mesi non ho parlato con nessuno della mia decisione. Se mi chiedevano: «Allatterai?», mentivo. «Se non avrò disturbi, certo», dicevo. Mia sorella non ci credeva, ricordava bene il mio choc nell’assistere alla sua esperienza. Ma non mi sono confidata nemmeno con lei, perché sapevo che avrebbe cercato di convincermi ad allattare. Nonostante quei mesi di clausura e di poppate continue, è rimasta una sostenitrice del latte naturale. Non parliamo di mia madre: se avesse saputo le mie intenzioni, mi avrebbe accusata di essere la solita pigra incapace di sacrificarsi per il prossimo. Io non avevo nessuna intenzione di sentirmi dare del mostro, anche perché mia figlia la desideravo con tutta me stessa.

Solo che il pensiero di allattarla mi metteva di cattivo umore: immaginavo l’impossibilità di fare altro per essere sempre a sua disposizione, l’imbarazzo di tirare fuori il seno in pubblico, il possibile dolore ai capezzoli. Conosco i miei limiti: per essere serena ho bisogno di non rinunciare a tutto, di non eclissarmi completamente. L’allattamento per me sarebbe stato una violenza. Su questo mi sentivo fermissima. Ma non abbastanza forte da affrontare le critiche degli altri. Temevo anche la reazione di Umberto, il mio ragazzo. Avevo paura che mi giudicasse, che mi ritenesse poco materna e poco matura. Quindi per mesi il mio unico sfogo sono stati i forum online: ho creato un profilo anonimo e ho scritto decine di post dal titolo “Non voglio allattare!”. E per fortuna tante altre mamme mi hanno sostenuto, dicendomi che l’allattamento è una scelta e che è meglio una mamma senza latte ma felice di una mamma che allatta controvoglia. Così sono arrivata in sala parto convintissima della mia scelta. Ho sfidato l’ostetrica di turno comunicandole la mia decisione, e per fortuna in quell’occasione non sono stata criticata. Lei ha annuito senza chiedermi niente e il giorno dopo la nascita di Angelica mi ha fatto prescrivere la pastiglia per eliminare la montata. A tutti ho detto che il latte non era arrivato, anche a Umberto. Lui non ha battuto ciglio, preso com’era dalla novità di essere padre. Voleva solo che io e Angelica stessimo bene. Il resto del mondo, invece, non ha mancato di farmi sentire a disagio: ho sopportato decine di pacche sulle spalle e sguardi di commiserazione («Poverina!») da parte di parenti e amiche.Tutti atteggiamenti che mi hanno convinta di aver fatto la scelta giusta: tacere. Adesso che sono passati due anni Angelica sta benissimo: non ha avuto né la salute cagionevole né problemi di crescita, come spesso si sente dire dalle fanatiche dell’allattamento naturale. Io sono riuscita a gestire la routine da neomamma con grande serenità, e a mantenere perfetto il mio seno. Tempo dopo al mio ragazzo, ora marito, nel frattempo ci siamo sposati, l’ho confessato. E lui l’ha presa benissimo: «Avresti potuto dirmelo, ti avrei dato ragione». Forte della sua approvazione ho deciso: se avrò un secondo figlio non mentirò più, dirò a tutti che non voglio allattare. Non c’è niente di sbagliato, quindi, perché nascondersi? (Testo raccolto da Alessia Monti)

Il paese deI biberon
Una mamma che non allatta per scelta, in Italia non è ben vista. Eppure non siamo certo uno dei Paesi con i tassi di allattamento più alti: nel Nord Europa si supera il 90 per cento, mentre da noi la percentuale si ferma all’85,5. I dati sono gli ultimi rilevati dall’Istat, riferiti al 2013, e segnano un aumento rispetto al 2005, quando le donne italiane che allattavano erano l’81 per cento. Cresce anche la durata media del periodo di allattamento: dai 6,2 mesi del 2000 ai 7,3 mesi del 2005 fino agli 8,3 del 2013. Ma si tratta di un allattamento non esclusivo: in media le mamme italiane nutrono il bimbo solo con il loro latte per 4,1 mesi, un numero ancora lontano dalle direttive dell’Oms, che ne consiglia sei. E secondo una recente indagine del ministero della Salute, dal terzo mese ben una mamma su due rinuncia all’allattamento esclusivo, integrando il latte artificiale nella dieta del bambino.

Fonte:http://d.repubblica.it/

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